con Aristide Genovese e Roberto Tombesi
drammaturgia e regia Aristide Genovese
musiche di scena e drammaturgia sonora Roberto Tombesi
progetto illuminotecnico e disegno luci Samuel Donà
foto di scena e video Carlotta Monterosso
produzione Theama Teatro e Calicanto
Progetto vincitore del bando 2025 “FarFilò: Storie della Terra e del Cielo”, realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Coltivare Teatro”, promossa della Fondazione Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale in collaborazione con Arteven Circuito Multidisciplinare Regionale e Coldiretti Veneto e sostenuta dalla Regione del Veneto.
Scano Boa racconta la storia di un anziano che affronta con ostinazione la dura realtà della sua vita. È la storia di un vecchio uomo disperato. Ha una meta precisa, vuole raggiungere Scano Boa, l’ultima isola sabbiosa tra la foce del Po e il mare. Lì potrà darsi alla pesca dello storione, per guadagnare al più presto i soldi che servono a pagare la multa che trattiene il figlio in prigione. La sua determinazione è rabbiosa, la fatica e le privazioni non sembrano poterlo ostacolare. Il vecchio si ritrova ogni giorno a lottare contro la povertà e l’inospitalità dell’isola stessa e del grande fiume. Tra rabbia, tenacia e follia il vecchio che è simbolo della condizione umana, verrà piegato dalla forza della natura e dall’ineluttabilità della vita. Di fronte alla fatica del vivere ed alle mille difficoltà quotidiane, il vecchio protagonista deciderà di andare incontro al proprio tragico destino. Con un riposo che pare essergli negato anche dopo la morte.
Nel centenario della nascita di G.A. Cibotto, proponiamo la riscrittura teatrale di “Scano Boa”. Un adattamento in forma di racconto, narrazione, che riprende le tematiche del romanzo evidenziandone, in maniera particolare, i passaggi descrittivi del rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Gian Antonio Cibotto (1925-2017) è stato uno scrittore, giornalista e critico letterario italiano, noto soprattutto per le sue opere legate alla cultura e alle tradizioni del Veneto. Nato a Rovigo, ha esplorato nelle sue opere il paesaggio, la storia e la cultura del Polesine, del delta del Po e del Veneto evidenziando l’identità culturale e le problematiche sociali di questo territorio. Viaggiando con le sue parole possiamo ritrovare forti richiami a temi tutt’oggi dibattuti come la salvaguardia dell’ambiente, il rapporto dell’uomo con la natura, l’emarginazione, la relazione con lo “straniero”, ma soprattutto il rapporto con la propria identità, da scoprire ed analizzare, da comprendere ed accettare.
La storia narrata nello spettacolo, quasi un’odissea interiore, è un viaggio di lotta e resistenza, nella quale il protagonista viene raccontato con una debordante umanità, mentre i suoi nemici, il mare, il vento, il fango del delta, lo storione, diventano leggendari, proiettando su di essi il volto della natura stessa, simboli di una sfida universale. Rabbia, tenacia, miseria e follia si mescolano in un’ambientazione quasi mitica, che fa del Delta del Po un luogo di contrasto, ostile ma allo stesso tempo capace di incantare con la sua grandezza incontaminata. In questo luogo ai confini del mondo va in scena la difficile vita dei pescatori, la fatica quotidiana, nell’ostilità della natura, che porta la battaglia con gli elementi ad una dimensione leggendaria. Il Delta del Po diventa uno spazio poetico e selvaggio, ambientazione ideale per il duello fra l’uomo e lo storione.
Lo spettacolo si sviluppa come un racconto orale nel quale il tempo sembra sospendersi mentre le parole si intrecciano ai ricordi, alle voci di un passato che riaffiora, restituendo la crudezza e l’intensità emotiva della vicenda. La storia si dipana in un equilibrio tra realismo e simbolismo, dove i dettagli concreti della vita nel Delta si mescolano a immagini evocative, capaci di dare voce non solo agli uomini, ma anche alla terra stessa, al fiume che scorre implacabile, al mare che chiama e respinge, al vento che sussurra storie di partenze e ritorni.
Il pubblico diventa parte di questa narrazione condivisa, immerso in un’atmosfera intima e avvolgente. Non è solo un racconto di vita e di morte, ma un’intensa esplorazione della connessione profonda tra l’uomo e la natura, delle radici culturali che lo ancorano a un territorio e della forza tragica che guida le sue azioni nei momenti più disperati. La lotta contro il fiume e gli elementi, resa epica dal desiderio di restare fedele alla propria identità, è metafora di una storia che appartiene a tutti noi, che ci porta a chiederci quali siano le nostre radici e quanto siamo disposti a fare per difenderle. Questo spettacolo è una celebrazione della capacità di adattamento, in una narrazione che tocca il cuore di chiunque abbia affrontato – o scelto di affrontare – un proprio “Scano Boa”, il luogo nell’oltre che trasforma in poesia e leggenda anche i luoghi più duri e nel quale vita e morte si rivelano in tutta la loro potenza. L’ambiente non è solo uno spazio fisico, ma un insieme di contesti che plasmano la crescita personale e collettiva, un intreccio di storie, gesti e tradizioni che si tramandano di generazione in generazione, la terra e l’acqua non sono solo beni da sfruttare, ma un’eredità da custodire, un equilibrio fragile da rispettare.
Le parole di Scano Boa riportano un sapere antico, fatto di osservazione e di esperienza, di saggezza popolare e conoscenze tramandate, una memoria collettiva che racconta il passato e disegna il futuro. Oggi la vicenda narrata nello spettacolo diventa profetica. In un mondo che si auto distrugge e si consuma, bisogna prendere coscienza della propria identità e del proprio ambiente, comprendere le dinamiche globali, riconoscendo che le scelte fatte così su un pezzo di terra, come sul delta di un fiume, hanno le più ampie ripercussioni. La cura del paesaggio diventa un atto di resistenza contro l’omologazione e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.
Le musiche dal vivo, eseguite con strumenti della tradizione (organetti, tamburi, ocarine, cuchi), accompagnano il racconto, trasformandosi in un linguaggio “altro” che avvolge e amplifica l’esperienza sensoriale. Non si tratta di un semplice accompagnamento musicale, ma di una vera e propria drammaturgia sonora, capace di intrecciarsi con la voce narrante e di dialogare con i silenzi, i ritmi e le emozioni del racconto. Gli strumenti utilizzati, con la loro timbrica unica e la loro storia secolare, non sono semplici elementi decorativi, ma veri e propri protagonisti della narrazione. L’ocarina, con il suo suono arcaico e struggente, richiama il respiro della terra e il richiamo degli uccelli lagunari; l’organetto, con il suo pulsare ritmico, evoca le danze popolari e il battito della vita comunitaria; il tamburo scandisce il tempo, come il battito del cuore o il rumore del remo che affonda nell’acqua. Tra gli altri numerosi strumenti utilizzati ricordiamo anche il «Bambunofono» strumento inventato per l’occasione legando tra loro un numero imprecisato di canne palustri polesane che contribuiscono a creare un immaginario e suggestivo paesaggio sonoro del delta. La colonna sonora si sviluppa partendo da brani contenuti nell’omonimo LP Scano Boa, pubblicato nel 1986, che rivelò internazionalmente le ricerche condotte da i Calicanto, Roberto Tombesi e compagni, in tutto il delta del Po e nella laguna veneziana. Queste ricerche hanno permesso il recupero non solo di strumenti musicali tradizionali rari, come l’ocarina, l’organetto e la piva, ma anche di un vasto repertorio orale fatto di danze, ninne nanne, filastrocche, canti di lavoro e ballate.
Le antiche melodie trovano nuova vita in questo progetto, arricchendo il racconto di suggestioni profonde e rendendo la narrazione un’esperienza immersiva e totalizzante. La musica diventa capace di evocare atmosfere lontane, di suggerire emozioni e di accompagnare il pubblico in un viaggio tra passato e presente, tra realtà e immaginazione. In questo intreccio di parola e suono, narratore e musicista danno vita a una dimensione poetica unica, in cui ogni nota, ogni eco, ogni respiro si fa parte di un affresco sensoriale che racconta l’anima autentica di un territorio.
