Processo par 'na broca rota

commedia brillante in lingua veneta
di Piergiorgio Piccoli e Aristide Genovese
con Piergiorgio Piccoli, Anna Zago, Daniele Berardi, Anna Farinello, Alessandra Niero, Kevin Munaro, Riccardo Perin
regia Piergiorgio Piccoli
produzione Theama Teatro

Una commedia perfetta, dove l’interesse è sostenuto da una trama impeccabile e dalla descrizione di personaggi tutti vivissimi, interessanti e intelligentemente comici.
Con un brio sottile e in un contesto popolare viene tracciato il profilo di un giudice di fine ‘800 che si trova nella paradossale situazione di indagare su un crimine di cui egli stesso è il colpevole!

La brocca rotta deride la fallacità della natura umana e del sistema giuridico, con un sapiente gusto per il grottesco e con una caratterizzazione dei personaggi accurata e divertentissima.

Poiché la lingua italiana mal si presta a rendere efficacemente il linguaggio dei contadini, la messa in scena e l’ambientazione sono rinvigorite, rimpolpate e più efficaci grazie all’uso del nostro magico ed esilarante dialetto veneto.


HAPPY BIRTH+DAY stelle terrestri

drammaturgia Anna Zago
con Manuela Massimi, Anna Zago, Lia Zinno
regia Nicoletta Robello
aiuto regia in scena Rossana Mantese
voce fuori campo Aristide Genovese
videoart Raffaella Rivi, Serena Pea
ideazione scene e costumi Licia Lucchese
“Liaisons sensibles” e “Liaisons vibrantes” musiche Arturo Annecchino
disegno luci Simone Sonda
sartoria Caterina Volpato, Francesca Parisi
trucco e capelli Samantha Peluso
maschera Minotauro Stefano Perocco di Meduna
foto di scena e teaser Serena Pea
trailer e video integrale Elia Risato
ritratti fotografici Massimiliano Sgarra
assistente alla regia Gaia Linda Genovese
registrazioni audio New basement studio
edizioni musicali Lamp On Music
co-produzione Pantakin, Theama Teatro, Dracma Teatro, Nuova Scena-Festival Scene di Paglia
in collaborazione con Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale, Collettivo Daphne, Kublai Film
si ringraziano Comune di Venezia-Settore Cultura, Fondazione di Venezia, Gruppo Gentili Mosconi, New Jolly Style

trailer > youtu.be/ZZR1QJUXGNc

Happy Birth+day è uno spettacolo teatrale che mette in scena tre donne cinquantenni apparentemente “normali”, immerse in una fase della vita in cui tutto sembra dover essere ridiscusso: il corpo, le relazioni, i desideri, il futuro. Attraverso un intreccio di voci e vissuti, le protagoniste si confrontano con le proprie esperienze e con quelle di tre grandi icone femminili del Novecento – Maria Callas, Marilyn Monroe e Jackie Kennedy – che appaiono come specchi mitologici, riflessi amplificati delle stesse contraddizioni e fragilità. Come in un gioco di specchi infinito, lo spettacolo riflette le donne di oggi, sospese tra un’educazione che le ha cresciute nell’attesa dell’uomo salvatore e un presente che le chiama all’autonomia e alla forza individuale. È in questo equilibrio instabile che le protagoniste oscillano, cercando di capire chi sono davvero, oltre i ruoli e le maschere.

Il racconto si intreccia con il mito greco, da cui tutto sembra avere origine: dalla mela d’oro lanciata per innescare la competizione tra idee ad Arianna abbandonata sulla spiaggia, simbolo eterno di un amore che promette salvezza e invece lascia sole. Così, le donne vengono da sempre educate a competere tra loro, a cercare la luce riflessa delle stelle altrui, mai quella propria. Crescono nel mito della conquista amorosa, nel bisogno di brillare attraverso lo sguardo dell’altro.

Happy Birth+day diventa allora un compleanno simbolico: non una festa, ma un rito di passaggio, un’occasione per guardarsi indietro e allo stesso tempo avanti. Un racconto teatrale che ha insieme intimo e collettivo, ironico e struggente, capace di restituire la complessità e la bellezza delle donne che, anche a cinquant’anni, stanno ancora imparando a riconoscere il proprio riflesso, questa volta alla luce del sole.

“Anche se non l’ha vissuto in prima persona, una donna porta dentro la memoria tutto quello che le altre donne hanno subito nel corso della storia a causa del proprio bisogno di essere libere e di realizzare sé stesse, e tutte le sue paure derivano da questo ricordo minaccioso anche se invisibile. La buona notizia è che questo problema senza nome non è solo suo, la cattiva e che rappresenta un tabù, una cicatrice così profonda da non riuscire ad essere condivisa neppure tra donne, e da riuscire incomprensibile a molti uomini. E così, anche se nella vita ha compiuto scelte difficili e coraggiose, dentro di lei ci sono ancora condizionamenti che la fanno sentire irrealizzata…

Per mettere in luce questa delicata questione, ci siamo ispirate alla storia di tre icone di stile e di talento intorno alle quali sono stati costruiti altrettanti modelli di femminilità che, messi insieme, sintetizzano l’immagine della donna perfetta: Maria Callas, Marilyn Monroe e Jacqueline Lee Bouvier, da tutti conosciuta per i cognomi dei suoi due mariti Kennedy e Onassis. Abbiamo pensato di “utilizzare” le storie di questi personaggi per provare a parlare della narrazione che ogni donna porta dentro di sé e che spesso ha paura o anche vergogna di raccontare”. (Nicoletta Robello)


IL FILO ROSSO TRA ARRIGO E LENOR

drammaturgia Melania Fiore

con Anna Zago, Aristide Genovese, Daniele Berardi, Anna Farinello

regia Piergiorgio Piccoli

produzione Theama Teatro

ph. Luigi De Frenza

Uno spettacolo denso, emozionante, che la regia di Piergiorgio Piccoli conduce con mano leggera […] Teatro sold out e tanti meritati applausi per tutti. (Giornale di Vicenza)

Dedicato a Eleonora Duse nel centenario della sua morte. Il cuore della parte recitativa è tratto dallo straordinario carteggio fra Eleonora Duse e Arrigo Boito, in cui svettano momenti di alto coinvolgimento emotivo, profonde dissertazioni sui sentimenti e importantissime note biografiche, fra cui la celeberrima relazione fra l’attrice e il poeta Gabriele D’Annunzio. Completano lo spettacolo alcuni brani shakespeariani adattati da Arrigo Boito (gli unici interpretati dalla Duse del drammaturgo inglese).

“La chiamava Lenor. E la teneva nascosta. Come un fiore raro. O una pietra preziosa. Non raccontava a nessuno dei loro sentimenti. Le scriveva lettere brevi, appassionate, piene di furore, ma anche di piccoli aneddoti senza importanza. Fu amore. Un amore grande, quello fra Arrigo Boito e la Duse. Musica e teatro insieme per una relazione che, fra alti e bassi, durò fino alla morte del celebre compositore avvenuta nel 1918. Si erano incontrati nel 1884 – lui aveva 42 anni, lei 26 – e fu subito un rincorrersi epistolare da un capo all’altro dell’Europa dove l’attrice lombarda era spesso in tournée. L’Associazione Theama, a un secolo dalla morte di Eleonora Duse, ripercorre questa vicenda nella sua nuova produzione, “Il filo rosso tra Arrigo e Lenor” […]. «Abbiamo allestito un lavoro molto lineare», spiega Piergiorgio Piccoli, regista dell’allestimento. «Scritto da Melania Fiore, lo spettacolo ha il suo centro nell’ epistolario intercorso fra la Duse e Arrigo Boito, protagonisti assoluti di una pièce che li vedrà interagire con due personaggi straordinari come Sarah Bernhardt e Gabriele D’Annunzio. Ci è sembrato interessante costruire un meccanismo aperto, dentro cui la vita si mostra per quello che è: sfrontata, contraddittoria, spesso dolorosa, sempre imprevedibile». Il ruolo della Divina sarà interpretato da Anna Zago, ancora una volta alle prese con una figura femminile forte, problematica, entrata nella storia del teatro europeo. Accanto a lei ci saranno Aristide Genovese, Anna Farinello e Daniele Berardi, rispettivamente nei ruoli di Arrigo Boito, Sarah Bernhardt e Gabriele D’Annunzio. Anna Zago, quale ritratto della Duse emerge dal fitto scambio di lettere con Arrigo Boito? Ci troviamo di fronte a una donna inquieta, sinceramente innamorata, apparentemente delicata e fragile, in realtà volitiva, determinata, per certi aspetti anche spigolosa, anticonformista, profondamente consapevole delle tante responsabilità che il suo lavoro comporta. Come definirebbe la relazione tra Eleonora Duse e Boito? Un amore generoso, importante, che nel tempo saprà trasformarsi in una forza che li porterà a non perdersi mai. Un rapporto che subì una forte battuta d’arresto quando nella vita della Divina entrò Gabriele D’Annunzio. Con D’ Annunzio fu la passione assoluta, il furore devastante, l’annientamento. Con Boito fu l’amore che resta oltre il desiderio e il tumulto dei sensi. Il loro fu l’incontro di due anime che seppero riconoscersi, accettarsi e comprendersi fino alla fine. Quali problemi implica interpretare un personaggio come la Duse? E’ una domanda difficile. Non capiremo mai fino in fondo la rivoluzione che lei ha innescato. La naturalezza e il verismo che stanno alla base del nostro modo di recitare sono solo una piccola parte della sua immensa eredità. Che cosa ha fatto di Eleonora Duse la “Divina” osannata dalle platee di tutta Europa? Il carisma scenico è un qualcosa che non consente definizioni. La Duse è la Duse. C’era in lei qualcosa di magnetico, frutto di una personalità fuori dal comune. Grande innovatrice, imprenditrice, instancabile lavoratrice, ha battagliato sempre, a testa alta, fra mille difficoltà. Una donna vera. Un’artista assoluta”. (Maurizia Veladiano, Giornale di Vicenza, 23/11/2024)


LA BANDA DEI VECCHI BACUCCHI

co-produzione Fondazione AIDA ets, Theama Teatro, Associazione ATTI aps
basato su “La Banda dei Vecchi Bacucchi” di Florence Thinard, illustrazioni di Gaël Henry
con il contributo della Provincia autonoma di Trento
con il sostegno di Fondazione Giorgio Zanotto
con Eliana Crestani, Kevin Munaro, Pino Costalunga, Paolo Rozzi, Gilda Pegoraro
scenografia Federico Balestro
drammaturgia Piergiorgio Piccoli e Anna Zago
regia Piergiorgio Piccoli

  • tecnica teatro d’attore
  • età consigliata dagli 11 anni
  • durata 70 minuti

Uno spettacolo lieve e divertente, che senza alcun moralismo tocca argomenti di grande profondità: la solitudine, il potere malevolo del consumismo, l’ingiustizia sociale e il dialogo intergenerazionale.

In una città non precisamente identificata, la Banda dei vecchi Bacucchi porterà scompiglio attraverso azioni di guerriglia improbabili, il cui obiettivo è quello di affermare un principio di giustizia sociale e dare filo da torcere al marketing, che tanto danneggia le menti e la vita di tutti. Ben presto però l’obiettivo della Banda diventerà un altro. Ma chi sono questi temibili banditi?

Gisèle, eccentrica signora, è difensora indefessa del pubblico decoro; Victor, che si aggira furtivo per il quartiere, è sempre impegnato in una lotta contro il marketing che esercita aggiungendo parole ai manifesti pubblicitari, ribaltandone il messaggio; Nonno Ferraglia, esule anarchico socievole e bonario, che passa il tempo raccogliendo ferro, per arrotondare la pensione; Rose, vecchina dolce e delicata, ma niente affatto debole, sempre accompagnata dal suo piccolo e famelico cagnolino Youky, che un giorno, in giro per compere, verrà scippata da un ragazzo, che le provocherà una frattura al braccio; evento detonatore della scintilla che legherà i quattro diversissimi personaggi.

L’obiettivo principale della Banda diventa quindi riacciuffare il responsabile dello scippo, per punirlo in modo esemplare, ma soprattutto portarlo sulla via della redenzione. Da qui in poi, questi vecchi bacucchi non si separeranno più. La storia prende un ritmo veloce e a tratti esilarante, tra operazioni punitive, tipo quella contro l’avido macellaio signor Bourguignon, e deliziosi pranzetti che Gisèle prepara per la sua banda. E il ragazzo dello scippo? Acciuffato, guadagnerà la centralità della storia.


Scano Boa

con Aristide Genovese e Roberto Tombesi
drammaturgia e regia Aristide Genovese
musiche di scena e drammaturgia sonora Roberto Tombesi
progetto illuminotecnico e disegno luci Samuel Donà
foto di scena e video Carlotta Monterosso
produzione Theama Teatro e Calicanto

Progetto vincitore del bando 2025 “FarFilò: Storie della Terra e del Cielo”, realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Coltivare Teatro”, promossa della Fondazione Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale in collaborazione con Arteven Circuito Multidisciplinare Regionale e Coldiretti Veneto e sostenuta dalla Regione del Veneto.

Scano Boa racconta la storia di un anziano che affronta con ostinazione la dura realtà della sua vita. È la storia di un vecchio uomo disperato. Ha una meta precisa, vuole raggiungere Scano Boa, l’ultima isola sabbiosa tra la foce del Po e il mare. Lì potrà darsi alla pesca dello storione, per guadagnare al più presto i soldi che servono a pagare la multa che trattiene il figlio in prigione. La sua determinazione è rabbiosa, la fatica e le privazioni non sembrano poterlo ostacolare. Il vecchio si ritrova ogni giorno a lottare contro la povertà e l’inospitalità dell’isola stessa e del grande fiume. Tra rabbia, tenacia e follia il vecchio che è simbolo della condizione umana, verrà piegato dalla forza della natura e dall’ineluttabilità della vita. Di fronte alla fatica del vivere ed alle mille difficoltà quotidiane, il vecchio protagonista deciderà di andare incontro al proprio tragico destino. Con un riposo che pare essergli negato anche dopo la morte.

Nel centenario della nascita di G.A. Cibotto, proponiamo la riscrittura teatrale di “Scano Boa”. Un adattamento in forma di racconto, narrazione, che riprende le tematiche del romanzo evidenziandone, in maniera particolare, i passaggi descrittivi del rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Gian Antonio Cibotto (1925-2017) è stato uno scrittore, giornalista e critico letterario italiano, noto soprattutto per le sue opere legate alla cultura e alle tradizioni del Veneto. Nato a Rovigo, ha esplorato nelle sue opere il paesaggio, la storia e la cultura del Polesine, del delta del Po e del Veneto evidenziando l’identità culturale e le problematiche sociali di questo territorio. Viaggiando con le sue parole possiamo ritrovare forti richiami a temi tutt’oggi dibattuti come la salvaguardia dell’ambiente, il rapporto dell’uomo con la natura, l’emarginazione, la relazione con lo “straniero”, ma soprattutto il rapporto con la propria identità, da scoprire ed analizzare, da comprendere ed accettare.

La storia narrata nello spettacolo, quasi un’odissea interiore, è un viaggio di lotta e resistenza, nella quale il protagonista viene raccontato con una debordante umanità, mentre i suoi nemici, il mare, il vento, il fango del delta, lo storione, diventano leggendari, proiettando su di essi il volto della natura stessa, simboli di una sfida universale. Rabbia, tenacia, miseria e follia si mescolano in un’ambientazione quasi mitica, che fa del Delta del Po un luogo di contrasto, ostile ma allo stesso tempo capace di incantare con la sua grandezza incontaminata. In questo luogo ai confini del mondo va in scena la difficile vita dei pescatori, la fatica quotidiana, nell’ostilità della natura, che porta la battaglia con gli elementi ad una dimensione leggendaria. Il Delta del Po diventa uno spazio poetico e selvaggio, ambientazione ideale per il duello fra l’uomo e lo storione.

Lo spettacolo si sviluppa come un racconto orale nel quale il tempo sembra sospendersi mentre le parole si intrecciano ai ricordi, alle voci di un passato che riaffiora, restituendo la crudezza e l’intensità emotiva della vicenda. La storia si dipana in un equilibrio tra realismo e simbolismo, dove i dettagli concreti della vita nel Delta si mescolano a immagini evocative, capaci di dare voce non solo agli uomini, ma anche alla terra stessa, al fiume che scorre implacabile, al mare che chiama e respinge, al vento che sussurra storie di partenze e ritorni.

Il pubblico diventa parte di questa narrazione condivisa, immerso in un’atmosfera intima e avvolgente. Non è solo un racconto di vita e di morte, ma un’intensa esplorazione della connessione profonda tra l’uomo e la natura, delle radici culturali che lo ancorano a un territorio e della forza tragica che guida le sue azioni nei momenti più disperati. La lotta contro il fiume e gli elementi, resa epica dal desiderio di restare fedele alla propria identità, è metafora di una storia che appartiene a tutti noi, che ci porta a chiederci quali siano le nostre radici e quanto siamo disposti a fare per difenderle. Questo spettacolo è una celebrazione della capacità di adattamento, in una narrazione che tocca il cuore di chiunque abbia affrontato – o scelto di affrontare – un proprio “Scano Boa”, il luogo nell’oltre che trasforma in poesia e leggenda anche i luoghi più duri e nel quale vita e morte si rivelano in tutta la loro potenza. L’ambiente non è solo uno spazio fisico, ma un insieme di contesti che plasmano la crescita personale e collettiva, un intreccio di storie, gesti e tradizioni che si tramandano di generazione in generazione, la terra e l’acqua non sono solo beni da sfruttare, ma un’eredità da custodire, un equilibrio fragile da rispettare.

Le parole di Scano Boa riportano un sapere antico, fatto di osservazione e di esperienza, di saggezza popolare e conoscenze tramandate, una memoria collettiva che racconta il passato e disegna il futuro. Oggi la vicenda narrata nello spettacolo diventa profetica. In un mondo che si auto distrugge e si consuma, bisogna prendere coscienza della propria identità e del proprio ambiente, comprendere le dinamiche globali, riconoscendo che le scelte fatte così su un pezzo di terra, come sul delta di un fiume, hanno le più ampie ripercussioni. La cura del paesaggio diventa un atto di resistenza contro l’omologazione e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

Le musiche dal vivo, eseguite con strumenti della tradizione (organetti, tamburi, ocarine, cuchi), accompagnano il racconto, trasformandosi in un linguaggio “altro” che avvolge e amplifica l’esperienza sensoriale. Non si tratta di un semplice accompagnamento musicale, ma di una vera e propria drammaturgia sonora, capace di intrecciarsi con la voce narrante e di dialogare con i silenzi, i ritmi e le emozioni del racconto. Gli strumenti utilizzati, con la loro timbrica unica e la loro storia secolare, non sono semplici elementi decorativi, ma veri e propri protagonisti della narrazione. L’ocarina, con il suo suono arcaico e struggente, richiama il respiro della terra e il richiamo degli uccelli lagunari; l’organetto, con il suo pulsare ritmico, evoca le danze popolari e il battito della vita comunitaria; il tamburo scandisce il tempo, come il battito del cuore o il rumore del remo che affonda nell’acqua. Tra gli altri numerosi strumenti utilizzati ricordiamo anche il «Bambunofono» strumento inventato per l’occasione legando tra loro un numero imprecisato di canne palustri polesane che contribuiscono a creare un immaginario e suggestivo paesaggio sonoro del delta. La colonna sonora si sviluppa partendo da brani contenuti nell’omonimo LP Scano Boa, pubblicato nel 1986, che rivelò internazionalmente le ricerche condotte da i Calicanto, Roberto Tombesi e compagni, in tutto il delta del Po e nella laguna veneziana. Queste ricerche hanno permesso il recupero non solo di strumenti musicali tradizionali rari, come l’ocarina, l’organetto e la piva, ma anche di un vasto repertorio orale fatto di danze, ninne nanne, filastrocche, canti di lavoro e ballate.

Le antiche melodie trovano nuova vita in questo progetto, arricchendo il racconto di suggestioni profonde e rendendo la narrazione un’esperienza immersiva e totalizzante. La musica diventa capace di evocare atmosfere lontane, di suggerire emozioni e di accompagnare il pubblico in un viaggio tra passato e presente, tra realtà e immaginazione. In questo intreccio di parola e suono, narratore e musicista danno vita a una dimensione poetica unica, in cui ogni nota, ogni eco, ogni respiro si fa parte di un affresco sensoriale che racconta l’anima autentica di un territorio.


Un pacchetto di Gauloises

dalla omonima biografia di Guido Morselli, scritta da Linda Terziroli

con Aristide Genovese, Anna Zago, Piergiorgio Piccoli, Anna Farinello, Daniele Berardi, Carlo Properzi Curti, Daniela Padovan
adattamento drammaturgico Piergiorgio Piccoli
azioni fisiche Greta Bragantini e Ilaria Pravato di Iuvenis Danza, coordinate da Ester Mannato
video e musiche Fabio Ferrando
progetto scenografico e luci Franco Sinico
regia Piergiorgio Piccoli
produzione Theama Teatro

Spettacolo sulla vita di Guido Morselli, consacrato recentemente anche negli Stati Uniti d’America, in occasione della prima traduzione e pubblicazione del suo romanzo Dissipatio H.G., ‘lo scrittore dell’anno e il genio postumo che ha inventato il nostro futuro’.

Spettacolo realizzato per il progetto A casa nostra (anno 2021), nell’ambito dell’Accordo di programma Regione del Veneto e Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, in partnership con Arteven – Circuito Multidisciplinare Regionale e Teatro Stabile del Veneto

“Una luce soffusa accoglie lo spettatore. Un delicato riverbero dentro cui la voce del poeta racconta la malinconia di un pomeriggio d’autunno, l’alzarsi della nebbia, il profilo dei monti […]

L’ allestimento mette in contatto gli snodi fondamentali della vita di Morselli con alcuni passaggi del suo romanzo, “Dissipatio H.G.”, pubblicato post mortem nel 1977. Il risultato è una sorta di macchina del tempo dentro cui le ombre chiedono udienza, vogliono raccontare la loro storia, il loro rapporto con quell’uomo ombroso, enigmatico, in grado d’inventare mondi, ma anche capace di distruggerli nel segno di una scrittura visionaria e potente. Ed ecco avanzare il fratello Mario, la sorella Luisa, il padre Giovanni, la mamma Olga, il professore di filosofia Antonio Banfi, le amiche del cuore Laura e Maria, il capitano Ferrari.

Il ritratto che ne esce è frastagliato, composito, possibilista. Morselli ama la natura, l’arte, la bellezza, ma ciò che più lo stringe nel cerchio stretto del desiderio è la scrittura, alla quale si dedica con passione bruciante per più di trent’anni. Ma nessuno pubblicherà le sue opere. Nessuno placherà il suo furore. Davanti a lui la Browning 7.65, compagna di sempre, la terribile “ragazza con l’occhio nero”. Uno sparo. Morselli se ne va così, in una notte d’estate, con i grilli impazziti e l’abbaiare lontano dei cani.

Costruito sul filo di una memoria incalzante e rapsodica, lo spettacolo sembra muoversi all’interno di una fluttuante bolla temporale. Il movimento è pulito, essenziale. Ciò che più conta sono le voci che indagano le ragioni di una mente lucida, beffarda, che a una quotidianità mediocre, a una solitudine lacerante, a un dolore soffocante, preferisce il volo, il gesto, il confronto risolutivo. 

La sobria regia di Piccoli, incuneandosi in questa assenza, in questo vuoto improvviso, alza il tiro, leviga gli accenti, chiede silenzio. Lo stesso silenzio che accompagna l’estremo congedo di un uomo che, prigioniero di un mondo ormai deserto, lascia in eredità un pacchetto di Gauloises da condividere con chi un giorno si metterà in viaggio per andare incontro a chi non ha mai smesso di aspettarlo. Meritati applausi. (Il Giornale di Vicenza)


Sommersione

drammaturgia Sandro Frizziero, Stefano Spagnolo
con Aristide Genovese
adattamento drammaturgico e messa in scena Aristide Genovese
ambiente sonoro Lorenzo Tomio
regia e montaggio video Corrado Ceron
fotografia video Alberto Bedin
consolle luci e audio Samuel Donà
assistenza tecnica SIAidee
con la partecipazione di Ester Mannato, Bianca Benetazzo e gli allievi FOR.THE – centro di formazione teatrale
produzione Theama Teatro

tratto dal romanzo omonimo di Sandro Frizziero arrivato secondo al Premio Campiello 2020

«In fondo all’Adriatico, a nord, esistono isole filiformi che separano il mare dalla laguna veneta. In una di queste esili terre Sandro Frizziero ha trovato il suo tesoro. Non un forziere di zecchini d’oro, ma qualcosa di infinitamente più prezioso per un romanziere: uno scrigno di passioni brutali e primarie, di ipocrisia, maldicenza, invidia, avidità; vale a dire, tutti i sinonimi dell’amore malinteso».
Tiziano Scarpa

Sommersione, pur presentando le caratteristiche del monologo interiore, trasforma il flusso di coscienza in una confessione “straniata”, durante la quale un vecchio pescatore fa i conti con i fantasmi della propria esistenza.

Le evocazioni sceniche di diversi personaggi si susseguono all’interno dei vari quadri, quasi a ricordare al protagonista il male che hanno subito a causa sua. Così la vicenda narrata diventa una carrellata di episodi legati da un filo conduttore rappresentato dalla “cattiveria” dell’uomo. È il male ad essere messo in risalto, un male compiuto con consapevolezza e analizzato oggi con estrema freddezza e distacco, non a chiedere pietà per gli atti compiuti, ma quasi a gridare l’ineluttabilità di quanto accaduto. Il male inevitabile, ma non rende innocente l’uomo. Tutto il passato è rinchiuso in una casa. Un luogo dove l’inferno è il ricordo, destinato a perpetrarsi all’infinito. Una sirena. La sirena che annuncia l’acqua alta, presagio di una sommersione, scandisce i tempi dell’azione.

Sandro Frizziero nato a Chioggia nel 1987, ha esordito nella narrativa con Confessione di un NEET (Fazi, 2018, finalista al Premio John Fante 2019), che ne attesta originali abilità narrative e grande capacità di disegnare profili psicologici. Tali doti sono state ampiamente confermate dai successivi Sommersione (Fazi, 2020, secondo al Premio Campiello) e Il bene che ti voglio (Mondadori, 2023).


Pandora's beauty - manuale per donne dieteticamente caste

con Anna Zago e Thierry di Vietri
testo e regia Anna Zago
musica dal vivo Thierry di Vietri

Cosa nascondono i volti delle donne? Cosa ci raccontano?
I quarantacinque muscoli facciali, a parte quelli necessari a masticare, baciare, odorare, soffiare, servono per esprimere emozioni: più articolato e complesso sarà il carattere, intendendo per carattere la nostra essenza più profonda, più individuale sarà l’espressione del volto. Ma oggi i modelli proposti ci spingono a nascondere i nostri volti, in virtù di un mito della bellezza che assecondando il volere maschile ha contagiato anche le donne.
Perchè avere vergogna di mostrare la propria età, la propria faccia? Diceva Anna Magnani al truccatore che prima del ciak stava per coprirle le rughe: “Lasciamele tutte, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele.”
A partire dal mito di Pandora e da quello della Mela d’oro, gli attori in scena accompagnano il pubblico tra passato e presente, tra canzoni e narrazione, tra comicità ed emozioni per scoprire come sono cambiati i nostri canoni estetici e le conseguenze che hanno avuto sul mondo femminile e maschile. Un viaggio ironico e profondo tra storia e quotidianità.


Salomè

di Piergiorgio Piccoli
con Pietro Casolo, Anastasia Faccio, Michela Imbrunito, Tatiana Vedovato
regia Piergiorgio Piccoli
allestimento scenico Igor Veljkovic
costumi Cristina Cenci
produzione Theama Teatro Lab

La luna ha un aspetto assai strano, questa sera.

Bisogna guardare solo negli specchi, perché non riflettono che maschere.

Un’ avventura onirica e sospesa, vissuta nel piccolo ma siderale spazio di un palco, in compagnia di quattro personaggi iconici e di un autore divenuto, meritatamente, leggendario. La vicenda è piena di simboli e di fantasmi, avvolta a tratti dall’oscurità e a tratti da una luce accecante, intrisa di ossessioni ataviche e amorose. Si parla di amore infatti, amore maledetto, amore incatenato, qui incarnato da giovani attori fra cui Salomè si fa portavoce del disagio di coloro che non sanno staccarsi con la mente dalla persona che credono di amare. In questo dramma moderno i personaggi sono preda di un’idea fissa che non lascia scampo, un’idea che oscura la volontà e fa andare la mente fuori controllo.

Oscar Wilde, profeticamente, mette in scena con grande anticipo una calamità del nostro secolo, lo stalking, ovvero il bisogno ossessivo e folle di interferire sulla vita di un’altra persona. Lo stalker, causa un disagio esistenziale, ruba la libertà degli altri, interferisce brutalmente nella loro esistenza, vive con solitudine e violenza il proprio amore malato e può privare gli altri della serenità o addirittura della vita (non mi vuoi, quindi ti uccido). Nel regno di Erode i personaggi si muovono secondo questa logica. Lo stesso Wilde fu artefice (ma anche vittima) di atti di stalking ante litteram, che sfociarono nelle straordinarie invettive del “De profundis” durante la prigionia che gli fu ingiustamente imposta, tra l’altro per le reciproche ingerenze scambiate con l’amante. Quella di Salomè per Giovanni, e di Erode per la stessa Salomè sono ossessioni sconvolgenti, in cui il desiderio fisico si trasforma in una pericolosa voragine che spinge i protagonisti a comportarsi in modo irrazionale e disturbante. Anche l’ossessione di carattere morale e religioso del Battista per Erodiade sfiora il delirio e la follia. Guardando questi personaggi viene immediato chiedersi quali terribili conseguenze può avere lo stalking all’interno di una coppia, di una famiglia o di una comunità. Quali sono i segnali da non ignorare e quali le strategie da attuare per combattere un rapporto malato? Nessuno è al sicuro, nessuno riesce a resistere alla tentazione di invadere lo spazio altrui, tutti seminano paura e inquietudine sul terreno delle proprie relazioni, spesso facendolo anche in modo grottesco, assurdo, patetico, risibile. La danza dei sette veli di Salomè diventa quindi una porta che si apre sul mondo impenetrabile della mente umana. Il pubblico sarà messo di fronte ai lati più oscuri delle relazioni umane, quando le persone iniziano a confondere l’amore con l’attrazione e quando si supera il limite fra desiderio e ossessione, fra passione e perversione.

Attraverso le misurate ed efficaci performance degli attori sarete accompagnati in questa storia controversa e carica di suspense, e osserverete l’evolversi di una pericolosa danza fatta di gelosia morbosa, giochi di potere e intrighi sensuali.

“Salomè” ci insegna che l’amore è un’altra cosa rispetto allo stato d’animo in cui si sente follemente coinvolta; l’amore è rispetto, confronto, comprensione, accettazione dei propri limiti; l’amore vero vuole libertà, rifiuta le catene e la violenza perché vuole solo il bene della persona amata. Ci auguriamo che questo lavoro conduca ad una attenta riflessione sulla differenza fra le relazioni sincere e sane rispetto a quelle torbide e manipolatorie.

Piergiorgio Piccoli


Aspettando Matù (dietro le quinte)

di Dany Laurent
rielaborazione e adattamento Piergiorgio Piccoli
traduzione Mariella Fenoglio e Roberto Della Casa
con Piergiorgio Piccoli e Michela Imbrunito
regia Daniela Padovan e Piergiorgio Piccoli
produzione Theama Teatro

In camerino, prima di andare in scena, nell’ora che precede l’apertura del sipario di una replica, un celebre interprete mette in campo tutte le manie, le ridicole insicurezze e le paranoie che caratterizzano chi fa questo mestiere, dando vita a spassose situazioni in un brillante scambio di battute con la sua storica assistente.

Un divertimento assicurato per il pubblico, che potrà prendersi gioco degli attori e della maggior parte dei teatranti, mettendo a fuoco le azioni bizzarre e le relazioni assurde a cui sono soliti dare vita sia sul palco che nel privato. Il protagonista ci mostra come questo lavoro gli abbia fatto perdere lucidità ed equilibrio rispetto a ciò che sta fuori dal palcoscenico e, tra moti di narcisismo, ipocondria ed egocentrismo,
la vicenda si dipana scandita dai tempi tecnici di attesa dell’inizio dello spettacolo. Dopo l’imperversare del carattere borioso del protagonista verranno alla luce anche momenti imprevedibili di grande intimità.

Una pièce ironica, divertentissima ma con una punta di amarezza, che svela come la vera identità dell’interprete, benché mascherata da stereotipi e luoghi comuni, sia nascosta ma dominante rispetto al suo ruolo in palcoscenico, nonostante gli spassosi tentativi di camuffarla.